La vita comoda piace a tutti, ma è proprio questa accettazione generale e acritica che va interrogata per comprendere i cambiamenti epocali indotti dall’imperante ipertecnologia. Prepotentemente entrata nella nostra routine quotidiana, la comodità è diventata non solo uno stile di vita ma anche un modo di conoscere che ha plasmato la cultura materiale e gli stessi
modelli valutativi. Si configura dunque come un fatto sociale totale che ci consente di indagare la cesura antropologica che ha dato vita a una forma inedita di umanità: l’Homo comfort. Ovvero un’umanità che va liberandosi della fatica e del dolore, ma che al contempo perde facoltà sensoriali e abilità conoscitive costruite nel corso dei secoli, diventando sempre
più dipendente da una tecnologia che usa ma non conosce.
Oltretutto, a partire dagli ultimi decenni del Novecento e in una fase di comfort ormai diffuso e avanzato (quanto meno nel mondo occidentale e occidentalizzato), è in corso un’ulteriore
trascendenza dalla naturalità che ridefinisce l’organico: oggi la cura del corpo e l’alimentazione salutista appaiono come le uniche forme in grado di fornire quell’appagamento complessivo
che l’edonismo invece non sembra più in grado di offrire.
Stefano Boni insegna Antropologia culturale e Antropologia politica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. È autore di diversi saggi, tra cui Il Poder Popular nel Venezuela socialista del secolo XXI (Editpress 2017). Con elèuthera ha già pubblicato Vivere senza
padroni, antropologia della sovversione quotidiana (2006) e Culture e poteri, un approccio antropologico (2011).